Le prime volte non finiscono mai: dalla ricerca della prima occupazione sino alla conquista di un nuovo cliente, il mercato non richiede più solamente competenze, esperienze ed entusiasmo. Occorre farsi capire, fare colpo, avere una marcia in più. Quella marcia in più che è paragonabile ai valori che le marche e i prodotti comunicano per conquistare un posto nelle abitudini dei consumatori. Così, per non subire la competizione, diventa indispensabile cavalcarla e trovare il miglior modo possibile per promuoversi: bisogna trasformarsi nell’ufficio marketing di se stessi, così da persuadere i nostri interlocutori che la risposta alla loro domanda di professionalità siamo proprio noi.
“Mi vendo (bene) ma non sono in vendita” è il nuovo libro sulle strategie del “personal branding” scritto da Lorenzo Cavalieri, consulente in coaching, comunicazione e formazione manageriale per le aziende (Vallardi Editore, 12 euro). Centosettantadue pagine di consigli pratici per guardarsi allo specchio e imparare a raccontarsi, per pensarsi come un sistema di competenze e capacità, che aspettano soltanto di essere valorizzate.
Come per ogni campagna di comunicazione e di posizionamento sul mercato che si rispetti, secondo Cavalieri anche il “personal brander” deve definire, all’inizio del proprio percorso, una strategia. Un lavoro iniziale che non consiste solamente nel cercare di capire il proprio segmento occupazionale di riferimento ma, ancora una volta, se stessi. Un piccolo viaggio verso la chiarezza nelle proprie ambizioni che Cavalieri esemplifica in diagrammi e cerchi intersecati solo per amore di sintesi. Secondo l’esperto, infatti, l’attenta analisi e definizione della propria identità è il presupposto fondamentale per fornirsi degli strumenti che ci permetteranno di farci riconoscere per quello che siamo o che vogliamo diventare.
Provare a raccontarsi nel tempo di accensione di un fiammifero, scegliere con cura le parole farlo, anche tenersi qualche asso nella manica da giocarsi dopo il processo di selezione: sono tutti esercizi e azioni pensate dall’autore per sviluppare quell’abilità, quella marcia in più, necessaria per farsi scegliere (e confermare nel tempo) dal datore di lavoro. Non bisogna infatti pensare al “personal branding” esclusivamente nei termini di una strategia che facilita l’entrata nel mondo del lavoro per superare con successo colloqui e selezioni.
“È un tema che coinvolge soprattutto le carriere avviate – spiega Lorenzo Cavalieri –. Anche se negli ultimi anni ha preso piede tra i liberi professionisti, in realtà il ‘personal branding’ è particolarmente efficace quando si è già dentro un’organizzazione strutturata”. Anche un professionista impegnato all’interno della pubblica amministrazione può consolidare la propria posizione, aumentare il capitale di fiducia che gli altri pongono in lui. “In questo senso – continua –, ogni azione di ‘personal branding’ consiste in un grande investimento che il singolo compie rispetto il benessere organizzativo generale”.
Nato nei primi anni ’80 e tornato alla ribalta nei tardi anni ’90, il “personal branding” è un concetto (o se si preferisce, una disciplina) che non si concentra solo sulle abilità del singolo, ma soprattutto sul suo modo di presentarle e confezionarle. Una tecnica per il posizionamento lavorativo efficace di sé, che incrocia principi dello story-telling e del marketing classico, attraverso un procedimento di cosiddetto “self-packing”, letteralmente “auto-confezionamento”.
Per farsi capire a tutto tondo, però, è necessario anche lavorare su se stessi a tutto tondo. Nel libro di Cavalieri, il “personal branding” è l’orientamento a presentarsi come un professionista specializzato, un collaboratore in sintonia con l’azienda e sempre pronto all’ascolto del cliente. Ma è anche ogni singola traccia di 140 caratteri lasciata su Twitter, sono i link che condividiamo, il modo di vestire, la reputazione sul web e nel nostro ambiente, le capacità di costruire relazioni. Un insieme di elementi al confine tra sfera pubblica e privata, vita reale e online, che è costituito da un lungo elenco di scelte da compiere e da sostenere per costruire e mantenere la propria immagine professionale.
Di certo, però, non mancano le critiche. Spesso il marketing di sé viene visto come l’equivalente lavorativo dell’autoscatto fintamente naturale, realizzato con la webcam o lo smartphone e postato sui social network. “Siamo tutti narcisisti in fondo, e il ‘personal branding’ è un modo per strutturare e rendere davvero utile questa tensione latente – controbatte Cavalieri –. Certo, le esasperazioni non mancano, ma chi si sa promuovere davvero bene, sa farlo nella massima autenticità e sobrietà.”
(fonte: miojob.repubblica.it)