I social media aiutano a vendere online se sono però gestiti correttamente. Questo è quanto sostenuto all‘ultimo convegno organizzato da Netcomm con Showroomprive.com per approfondire la frontiera del social media marketing. Nel dettaglio Giacomo Catanoso, digital market intelligence director di GFK ha sostenuto: “I social network servono a vendere, è però necessario seguire delle regole, alcune dettate dal semplice buon senso, altre che emergono dall’analisi delle campagne sia paid che owned e earned. Questi mezzi in termini generali funzionano nell’e-commerce se lo strumento è ben usato, quando, per cominciare, non si riciclano contenuti creativi pubblicati online da altri e quando la regia è ben pianificata. Sono efficaci se la campagna è globale, cioè sia online che offline, e comprende attività, call to action, che coinvolgono entrambi i mezzi, rispettando sempre la differenza dei target e con grande attenzione a un disegno complessivo omogeneo”. Questo significa anche essere in grado di pubblicare contenuti che aiutino a delineare gli utenti sulla base delle loro interazioni, riutilizzando le informazioni che emergono per riproporre messaggi e contenuti a questo punto profilati che quindi hanno più probabilità di vendere un dato prodotto. “Oggi le imprese si sono spostate direttamente sul cliente o sul consumatore, anche attraverso le comunicazioni dirette e i canali social. È diventato, quindi, importante sapere parlare anche in chiave editoriale con il consumatore finale, coerentemente con la propria strategia” ha concluso Roberto Liscia, Presidente di Netcomm.
Lo ha confermato un convegno di Netcomm, non basta però essere su queste piattaforme, serve attuare una strategica ad hoc per parlare direttamente con il cliente
I social media aiutano a vendere online se sono però gestiti correttamente. Questo è quanto sostenuto all‘ultimo convegno organizzato da Netcomm con Showroomprive.com per approfondire la frontiera del social media marketing. Nel dettaglio Giacomo Catanoso, digital market intelligence director di GFK ha sostenuto: “I social network servono a vendere, è però necessario seguire delle regole, alcune dettate dal semplice buon senso, altre che emergono dall’analisi delle campagne sia paid che owned e earned. Questi mezzi in termini generali funzionano nell’e-commerce se lo strumento è ben usato, quando, per cominciare, non si riciclano contenuti creativi pubblicati online da altri e quando la regia è ben pianificata. Sono efficaci se la campagna è globale, cioè sia online che offline, e comprende attività, call to action, che coinvolgono entrambi i mezzi, rispettando sempre la differenza dei target e con grande attenzione a un disegno complessivo omogeneo”. Questo significa anche essere in grado di pubblicare contenuti che aiutino a delineare gli utenti sulla base delle loro interazioni, riutilizzando le informazioni che emergono per riproporre messaggi e contenuti a questo punto profilati che quindi hanno più probabilità di vendere un dato prodotto. “Oggi le imprese si sono spostate direttamente sul cliente o sul consumatore, anche attraverso le comunicazioni dirette e i canali social. È diventato, quindi, importante sapere parlare anche in chiave editoriale con il consumatore finale, coerentemente con la propria strategia” ha concluso Roberto Liscia, Presidente di Netcomm.
0 Commenti
Italiani, popolo di navigatori su smartphone e tablet. Le nuove generazioni, ma non solo, preferiscono i nuovi device ai vecchi PC. Segno dei tempi o segno del declino? Secondo i dati Audiweb gli utenti italiani preferiscono sempre di più andare online attraverso dispositivi mobile invece che via PC. Presentato nel corso del convegno Iab Seminar Mobile Marketing & Advertising, lo studio analizza dati raccolti tra il 2013 ed il 2014 attraverso il nuovo sistema di rilevazione Audiweb, che consente di misurare gli utenti che accedono a Internet sia da PC che dai nuovi device mobile, analizzandone altresì abitudini e comportamenti online. Secondo i dati, la popolazione compresa tra i 18 ed i 74 anni mostra una sempre maggiore preferenza accordata alle connessioni mobile. Nel dettaglio, tra il marzo 2013 ed il marzo 2014 mentre le connessioni dal PC di casa sono rimaste sostanzialmente stazionarie, così come quelle dai computer del lavoro (appena più 3,2 per cento), la navigazione da cellulare è cresciuta del 7 per cento e quella da tablet addirittura del 113,5 per cento, passando dal 7,4 al 15,8 del totale. Inoltre la fruizione di Internet da Mobile ha superato quella da PC nel giorno medio: 1,28 ore si naviga da mobile, 1,18 da PC. Per la precisione sono state contate 7,4 milioni di persone che si sono collegate solo da dispositivi mobili, contro i 5,4 che lo hanno fatto da computer fissi (e 7,2 da mobile + fisso). A contribuire maggiormente a questo spostamento delle postazioni di accesso sono i 18-34enni, che generano la metà (52 per cento) del tempo speso online tramite device mobili, e lo stesso valore è riscontrato sul totale del tempo dedicato dagli utenti nella fruizione di applicazioni mobile. Alla sempre maggiore preponderanza del mobile, inoltre, contribuiscono anche app come WhatsApp Messenger (la più usata) e Facebook (al secondo posto in questa speciale classifica). I dati, peraltro, della crescente importanza del mobile sono confermati dai numeri dell'advertising anche fuori dall'Italia: negli Stati Uniti, per esempio, nel corso del 2014sarà il mobile a guidare il ritorno alla crescita della spesa in pubblicità, che dovrebbe raggiungere i 180 miliardi di dollari. (fonte: punto-informatico.it) Le statistiche sui comportamenti degli utenti web sono sempre utili, perché permettono alle aziende di capire in che direzione muoversi per migliorare l’efficacia della loro presenza online. In questo senso, è da segnalare una presentazione di We Are Social, che analizza i comportamenti degli internauti durante la navigazione sui siti, durante l’uso dei social media e durante l’interazione mobile. I dati sono particolarmente freschi, perché scattano la fotografia della situazione a inizio 2014. E sono anche parecchio mirati, perché sono stati condotti su utenti web italiani. In pratica, la domanda a cui si tenta di dar risposta è la seguente: qual è l’impatto di Internet, dei social media e dell’uso dei dispositivi mobili in Italia? Le risposte le trovate appunto nella presentazione, che ho allegato alla fine di questo post. Voglio però anticiparvi alcune delle statistiche che ho trovato tra le più interessanti:
(fonte: comunicaresulweb.com) Tra i molteplici strumenti di marketing offerti dalla rete, l’email marketing è uno dei più antichi e collaudati. Uno strumento che gode ancora di ottima salute, nonostante periodicamente qualcuno lo dichiari ormai sorpassato, se non addirittura sgradito agli utenti. La mail era e resta uno degli strumenti di comunicazione più diffusi e usati da tutte le fasce di utenti. Chi frequenta la rete ha un indirizzo email, spesso ha più di una casella, e la posta elettronica è senza dubbio uno dei servizi cui maggiormente ci si riferisce quando si parla di Internet. Ma qual è l’elisir di lunga vita dell’email marketing? Qual è il segreto di un successo che, ancora oggi, lo rende uno strumento ad elevato ROI? Anzi tutto la sua capacità di rivolgersi agli utenti in modo individuale, imbastendo e curando relazioni personali. Se si dispone di un buon database utenti, infatti, si possono offrire a ciascuno le informazioni e le opportunità più in linea con le sue aspettative. A che scopo praticare l’email marketingL’acquisizione di nuovi clienti e la fidelizzazione di quelli già acquisiti sono tra gli obiettivi primari di questa tecnica di marketing, che è estremamente efficace anche per rafforzare la brand identity, con un percorso di conoscenza con gli utenti che supera le logiche di altri canali ed entra con discrezione nel privato di ciascuno, anziché nel sovraffollato pubblico dei social network. Con un’email è possibile informare gli utenti su una promozione speciale o su di uno sconto, invitarli a partecipare a un evento, lanciare un nuovo prodotto o servizio, comunicare news o informazioni a supporto del blog o del sito aziendale, fare gli auguri per qualsiasi ricorrenza, richiedere opinioni attraverso sondaggi, e molto altro ancora. Sono davvero molti gli obiettivi che si possono perseguire attraverso l’email marketing, a fronte di un’unica imprescindibile regola, che accomuna questo strumento a tutti gli altri della rete (e non solo): occorre puntare su contenuti di qualità, per ottenere l’interesse degli utenti e per rendere le email un appuntamento atteso, piuttosto che un fastidio da tollerare. Questo strumento poggia la sua efficacia sulla qualità, che si contrappone alla quantità tipica di altri canali. Essere costanti nell’email marketing non presuppone una presenza quotidiana, come accade sui social network, ma al contrario una pianificazione scrupolosa, sinergica con gli altri canali e strumenti e ben distillata nel tempo, con una cadenza che può in molti casi andare oltre quella settimanale. Il vero segreto di una campagna DEM (Direct Email Marketing) però, è insito nella sua caratteristica più rappresentativa e più interessante: la targettizzazione dei contenuti, che va perseguita attraverso una puntigliosa e costante profilazione del target e degli utenti. L’email marketing, per essere davvero efficace, deve rispondere a una domanda quanto più possibile definita, con un’offerta pertinente, chiara, di elevata qualità e in grado di coinvolgere e convincere la fetta di utenti cui i messaggi sono destinati. A tal fine, occorre lavorare in modo costante e ordinato sul database dei contatti, vero patrimonio dell’azienda non soltanto in relazione a questo canale di marketing. Ad ogni invio, infatti, dobbiamo sapere qual è il nostro target di riferimento, a chi stiamo scrivendo e perché. Come siamo entrati in possesso della loro email? Ce l’hanno lasciata loro, iscrivendosi alla nostra newsletter o compilando un nostro form? Sono clienti già acquisiti, oppure sono contatti potenziali, cui scriviamo della nostra azienda e dei nostri prodotti con la speranza che possano acquistare qualcosa? L’Email Marketing serve proprio a questo: agevolare la decisione degli utenti. Ma, per ottenere questo risultato, il nostro database e le nostre liste di distribuzione (mailing list) debbono essere accurate, precise, aggiornate. Il successo o il fallimento di ogni singolo invio, delle campagne e delle strategie, è direttamente proporzionale alla qualità delle liste. Non si tratta di una questione numerica: che siano 100 o 100 milioni, gli iscritti alle liste dovranno sempre essere davvero interessati, motivati e desiderosi di ricevere le mail, in quanto perfettamente aderenti ai loro desideri e alle loro necessità. I criteri di profilazione (sesso, età, area geografica, professione/settore, interessi, ecc.) forniscono informazioni sulle caratteristiche socio-demografiche, che possono essere piuttosto generiche o molto dettagliate, fino ad arrivare a veicolare informazioni relative agli stili di vita, alle abitudini, agli interessi. Come creare i form di iscrizioneNon è semplice farsi lasciare dei dati dagli utenti e, pertanto, occorre creare moduli di richiesta dati o d’iscrizione asciutti, essenziali. Dobbiamo raccogliere giusto i dati necessari per l’invio e per comprendere cosa comunicare, perché nelle fasi successive potremo aumentare gradualmente il numero d’informazioni e migliorare la profilazione, senza che l’utente si senta minacciato o infastidito. Tra le molte tipologie di email che potrete inviare, infatti, ci sono quelle dette di autoprofilazione, che chiedono gradualmente all’iscritto di aggiornare i suoi dati e/o le preferenze di ricezione email. Il form di raccolta dati iniziale deve pertanto essere breve, di facile compilazione, dotato di tutti i campi necessari per l’acquisizione dei consensi necessari alla nostra operatività. Se ci riferiamo a una richiesta di informazioni ad utenti B2C, il form ideale per iniziare deve richiedere almeno “nome”, “cognome” ed “email”, che dovranno essere resi obbligatori da compilare. Se invece ci riferiamo ad un target B2B, potrebbero essere utili più campi, oltre a quelli già menzionati: “titolo”, “ruolo in azienda”, “telefono”, “azienda”, “settore”, “reparto”. Per incentivare gli utenti alla registrazione e alla compilazione di un form, è bene sempre offrire qualche vantaggio a chi si iscrive. Coupon e sconti, ad esempio, oppure l’accesso ad un’area del sito o a contenuti riservati, cosa che richiederà la creazione di un profilo utente con username e password. Qualsiasi tipologia d’iscrizione implica l’accettazione da parte dell’utente dell’informativa sulla privacy e il consenso al trattamento dei dati personali, che deve essere richiesto prima della raccolta dei dati e solo dopo avere debitamente informato l’interessato sulle modalità e finalità del trattamento e sul diritto di accesso ai propri dati trattati garantito dalla legge, inclusa la possibilità di richiederne la modifica o cancellazione. Il database utenti, vero tesoro dell’aziendaCome abbiamo già sottolineato, i dati degli utenti rappresentano un asset fondamentale per l’azienda. Un vero patrimonio che deve essere costantemente curato, mantenuto, aggiornato e pulito da errori, inesattezze, vecchi dati ormai inutili. Per costruire un buon database, occorrono competenze professionali specifiche e una piattaforma di gestione del database e degli invii che può essere realizzata in azienda (in proprio o presso una software house) o acquistata all’esterno (es. Mailup, Contactlab, etc). Una scelta da fare con cura, perché le due soluzioni comportano vantaggi e svantaggi. Se adottiamo una soluzione realizzata su misura per la nostra azienda:
Le fonti per l’acquisizione dei dati possono essere:
Si possono anche affittare indirizzi da aziende che dispongono di una propria base di dati e che, su commissione, inviano messaggi di terzi alle proprie liste di utenti. A differenza di quello che avviene con l’acquisto, affittare una lista non consente l’accesso ai dati, ma soltanto all’esito della campagna. Infine è possibile veicolare le comunicazioni attraverso le newsletter di altri siti, ma questi debbono essere in target con la propria attività. È necessaria dunque un’analisi preliminare, che consenta di individuare quei siti e quei portali che possano avere un pubblico compatibile con il nostro business e con le nostre proposte, prima di investire sulle rispettive newsletter. Non si tratta di strade a basso costo. Affittare una lista può costare molto e se è a buon mercato è probabile che:
Quando parliamo di base dati, non parliamo di puri dati statistici o demografici, ma di persone. Di clienti, acquisiti o potenziali, che basano il loro rapporto con l’azienda sulla fiducia e sulla certezza che la loro presenza in lista sia funzionale al miglioramento della relazione e delle opportunità. ConclusioniL’email marketing ha ancora oggi tutte le caratteristiche per essere protagonista di un marketing multicanale (dai social alle DEM, dal blog ai media tradizionali) che può davvero ottenere enormi risultati che prescindano dal budget e derivino principalmente dalla strategia e dal mix tra strumenti, canali e azioni. Oggi il pubblico è sempre più frammentato su un gran numero di piattaforme e di canali e raggiungerlo significa cercarlo in giro per la rete e farsi trovare, ovunque gli utenti stiano navigando. Questo significa principalmente essere presenti su un gran numero di canali e sfruttare tutti gli strumenti, prima ancora che investire budget sparando nel mucchio. L’email rappresenta la forma di comunicazione più diretta e più “intima” con i clienti. Se sfruttata nel modo corretto, ovvero per fornire informazioni di qualità adatte a ciascuna singola esigenza, questo strumento, in sinergia con tutti gli altri, può diventare il vero attaccante della squadra, quello in grado di segnare goal ad ogni partita. Ecco perché occorre conoscere bene questo mezzo e utilizzarlo in modo strategico. (fonte: boraso.com) La Biblioteca Di Emmedicom Quanti gradi di separazione ci sono tra te e la tua prossima avventura professionale? Quanto sei lontano da ciò che renderà la tua vita più interessante? Ognuno di noi è distante non più di tre gradi, forse due e mezzo, da chiunque altro nel mondo. Per entrare in contatto con chi può darti un consiglio, un aiuto per migliorare la tua quotidianità lavorativa devi iniziare a condividere, dare prima di ricevere, contribuire a far crescere le infinite e ricche connessioni che ci circondano e di cui facciamo parte. Facendo circolare idee, informazioni e competenze - e mettendo in comune i nostri contatti - potremo creare valore per noi stessi e per gli altri. Ma per farlo dobbiamo imparare a considerare l'amicizia una materia prima e Internet il mezzo che facilita la creazione di una rete personale. La curiosità e la voglia di ascoltare sono gli elementi fondamentali per circondarsi di persone (e idee) stimolanti che spesso diventano relazioni utili, se non indispensabili, per trovare un lavoro, costruire un progetto, risolvere un problema, avere una vita migliore. In questo libro troverai suggerimenti (da seguire con la testa e con il cuore) su come cogliere tutte le opportunità della comunicazione online e offline, creare una rete utile per identificare nuovi obiettivi da raggiungere, trovare nuove soluzioni anche - perché no? per uscire dalla crisi. TRA LE IMPRESE CRESCE LA PRESENZA SULLA RETE ANCHE SE LE MODALITÀ DI UTILIZZO DI QUESTI CANALI RISULTANO SPESSO IMPROVVISATE PERCHÈ SONO GESTITI IN MANIERA ANCORA POCO CONSAPEVOLE RISPETTO AI LINGUAGGI Tra le aziende italiane cresce sensibilmente la presenza sui social media, anche se le modalità di gestione di questi canali risultano spesso improvvisate. E’ un quadro tra luci e ombre quello che emerge dalla terza edizione dell’Osservatorio curato dallo Iulm dal titolo “Il SocialMediAbility delle Aziende Italiane”. L’indagine, promossa dall’executive master in Social Media Marketing & Web Communication, ha preso in esame lo stesso panel di 720 società monitorato nelle precedenti edizioni (segmentate al loro interno per dimensioni), appartenenti a sei settori: alimentare, arredamento, banche, hospita-lity, moda e pubblica amministrazione. Di positivo emerge che ormai il 63,8% delle aziende utilizza almeno un social media per le attività di comunicazione e marketing, con un balzo notevole rispetto al 49,9% registrato nel 2012, che avvicina il dato verso una condizione di maturità. Infatti, rilevano gli esperti, non è ipotizzabile arrivare in prossimità del 100%, considerato che molte piccole aziende difficilmente accetteranno — anche negli anni a venire — di percorrere questa strada. Vi sarà sempre qualcuno poco interessato allo strumento o per resistenze culturali (non tutte le imprese sono aperte al dialogo con il mercato) o per tipologia di business (ad esempio, alcuni settori del BtoB hanno poco da guadagnare dal ricorso a questi canali). L’incremento registrato nel corso di quest’anno è frutto soprattutto della spinta proveniente dalle realtà più strutturate, per le quali i social media costituiscono ormai ambienti “imprescindibili”, a riportare un termine impiegato dagli stessi ricercatori. Mentre nella precedente rilevazione era il 57,3% delle stesse a gestire almeno un social media, quest’anno la quota è salita all’81,1%. Il successo di alcune iniziative lanciate negli anni scorsi evidentemente ha convinto anche i più diffidenti a fare il grande passo. Non è escluso, poi, che una spinta sia arrivata dalla stessa crisi economica, che impone di cercare nuovi canali di comunicazione a basso costo con la clientela potenziale. La crescita degli ultimi dodici mesi allarga il divario già registrato negli anni precedenti nell’uso dei social media tra le grandi e le Pmi: in particolare, l’utilizzo dei canali del Web 2.0 passa dal 47 al 53% tra le medie aziende e dal 43 al 50% tra le piccole. Tornando al dato generale, colpisce che solo il 41% delle aziende (ma lo scorso anno le cose andavano ancora peggio, con il 25%) abbia sul sito un link per rimandare alla propria pagina Web. Dunque, in molti casi si investe su questi canali di comunicazione, senza tuttavia inserirli in una logica integrata con tutti i processi aziendali. Così il rischio è di portare a casa risultati deludenti. Quanto ai social network più utilizzati, i risultati sono in linea con i canali più diffusi tra gli utenti. Così Facebook stacca tutti, visto che viene scelto dal 75% delle aziende che hanno attivato almeno un social media (rispetto al 71,1% di un anno fa, un dato più che doppio se si estende il confronto a tre anni). Al secondo posto si piazza Youtube, utilizzato dal 51% delle aziende presenti sui social media contro il 40% rilevato due anni fa: è difficile ipotizzare che il gap tra i primi due possa essere colmato nel tempo, considerato che il sito di video sharing si rivela per forza di cose adatto a una platea più ristretta rispetto a quella raggiungibile con brevi messaggi anche solo testuali. Il terzo posto spetta a Twitter (45%), che è anche il canale a maggior tasso di crescita. Molto staccati gli altri strumenti di comunicazione social: da Pinterest (18% di utilizzatori) a Google Plus /17%), passando per Flickr (15%) e i blog (9%). Colpisce soprattutto quest’ultimo dato: fino a qualche anno fa i diari online erano ritenuti tra i canali di comunicazione più promettenti non solo a livello individuale, ma anche per le aziende. Oggi, invece, risultano uno strumento marginale. Le note dolenti arrivano soprattutto quando si passa dai dati sintetici a un’analisi più approfondita delle risultanze. Infatti, la maggiore diffusione dei canali social a livello aziendale non è accompagnato da un altrettanto significativo aumento dell’indice medio di SocialMediAbility, utilizzato dagli autori della ricerca pervalutare aspetti sia quantitativi, che qualitativi della presenza aziendale sui canali social, relativamente a tre macrocategorie: l’orientamento 2.0, la gestione/ cura dei diversi canali social, e l’efficacia delle azioni adottate. Questo indicatore si ferma a quota 1,91 punti su una scala da 0 a 10: un dato in crescita rispetto a 1,16 di dodici mesi fa, ma comunque ampiamente deludente. Anche su questo fronte, al crescere delle dimensioni aziendali, sale la qualità delle pratiche d’uso di tali canali. Per Guido Di Fraia, direttore scientifico del master, questi risultati evidenziano da una parte la crescente importanza per le aziende di presidiare questi canali, ma dall’altro questi «sono molto spesso gestiti in maniera ancora poco consapevole rispetto alle logiche comunicative e ai linguaggi specifici di ciascun canale. L’utilizzo strategico ed efficace dei social media per attività di comunicazione e marketing appare ancora appannaggio di un numero limitato di aziende». Facebook stacca tutti visto che viene scelto dal 75% delle aziende che hanno attivato almeno un social media (rispetto al 71,1% di un anno fa, un dato più che doppio sui tre anni) Twitter è un servizio gratuito di microblogging, che permette di pubblicare brevi post (chiamati tweet, lunghi al massimo 140 caratteri), foto e video all’interno del proprio account o condividere i messaggi scritti da altri utenti. Twitter è stato creato nel marzo 2006 e da allora è cresciuto molto rapidamente: nel 2012 ha superato i 500 milioni di utenti attivi che vi accedono sia da desktop che da mobile. Nel nostro Paese sono 4 i milioni di utenti attivi al mese ad usare Twitter: l’età media è di 27 anni per le donne e 36 anni per gli uomini Vista questa vorticosa crescita, aprire un account Twitter è stato un passaggio naturale per molte aziende. Meno ovvi e per alcuni versi sorprendenti sono gli utilizzi che hanno visto trasformare questo social network da una piattaforma di comunicazione a uno strumento di marketing e un canale di customer care. Mettendo da parte discorsi legati al marketing e alla customer care, voglio presentarvi un servizio molto interessante: “Pay With a Tweet”. Il servizio si basa sull’idea che il passaparola di un amico, soprattutto se ci si trova in un Social Network, vale molto di più rispetto alla voce diretta dell’azienda. L’integrazione del pulsante di “Pay with a Tweet” in una pagina Web permette agli utenti la condivisione immediata attraverso Twitter o un altro canale social di un determinato contenuto – messaggio, link, immagine – precaricato dall’amministratore del sito. La peculiarità è che questa condivisione da parte dell’utente non è del tutto disinteressata, ma incentivata da una ricompensa, come può esserlo l’accesso a contenuti che altrimenti sarebbero a pagamento, ad esempio file digitali, webinar o sconti e prodotti gratuiti. L’utente per ottenere un benefit clicca il bottone di “Pay With a Tweet” e condivide su uno o più dei suoi account social un messaggio con un contenuto precaricato. Questa può essere considerata una situazione win-win sia per l’utente che guadagna pagando con un tweet l’accesso a contenuti altrimenti non disponibili, sia per il sito web che sfrutta l’effetto virale del passaparola attraverso le condivisioni degli utenti. “Pay With a Tweet” è un servizio gratuito. Il passaggio alla versione a pagamento mette a disposizione delle aziende strumenti aggiuntivi come la possibilità di customizzare i bottoni, l’assistenza tecnica e gli strumenti di misurazione dell’andamento dell’utilizzo del bottone. L’accesso a strumenti di misurazione e analytics si rivelano particolarmente utili nel misurare con valori oggettivi l’efficacia delle proprie strategie di marketing e guidare le mosse successive da programmare per l’azienda. Consiglio di provare ad utilizzare almeno una volta questo servizio in considerazione di alcuni dati di mercato: circa il 75% degli utenti è più propenso ad acquistare prodotti di aziende seguite direttamente sui social network mentre circa il 55% condivide sugli stessi canali social ciò che acquista sul Web. Facilitare la condivisione sul profilo social di un messaggio che pubblicizza un dato prodotto o serviziopuò rivelarsi un ottimo aiuto per il raggiungimento degli obiettivi della strategia di comunicazione sui social a livello di ingaggio e di vendite. Senza entrare nella descrizione di strategie generali e a prescindere d “Pay With a Tweet”, ritengo importante utilizzare congiuntamente almeno Facebook e Twitter, perché si avrebbe un effetto moltiplicativo in termini di visibilità e viralità per i prodotti o messaggi che si vogliono promuovere. Il primo sfrutta di più il meccanismo della reciprocità, mentre il secondo è più idoneo alle condivisioni attraverso i retweet e gli hashtag. Tuttavia non è una buona pratica replicare, come se fossero una fotocopia, i contenuti di un social sugli altri, più nello specifico non ha senso aprire un account Twitter se questo viene utilizzato solo e soltanto per replicare i contenuti che sono stati pubblicati nella pagina Facebook. Ovviamente vale anche il contrario. Quello che si deve fare è, tenendo conto delle peculiarità di ciascun canale, cercare di valorizzare i contenuti pubblicandoli nel social più idoneo. In questo modo non sarà valorizzato soltanto il contenuto, ma, più in generale, la vostra presenza online. |
L' AutoreMaurizio Diotallevi, consulente per il web & social marketing di piccole/micro imprese e professionisti, appassionato per l' innovazione digitale. Archivio
Marzo 2017
Categorie
Tutto
Click to set custom HTML
webmarketing | blog | servizi | contatti |